CI vediamo presto sul nostro sito per la nuova intervista a Cinzia dopo la seconda protesi! Siamo orgogliosi di avere per testimonial una atleta cosi competente sulla sua disciplina, la corsa. Questo può certamente essere d’aiuto ad altri pazienti che come lei vogliono tornare allo sport anche non competitivo.
Alfredo, 59 anni, ci racconta la storia dei suoi dueinterventi a distanza di tre mesi l’uno dall’altro. Ora, dopo due mesi dalla seconda protesi è pronto a tornare ai suoi sport preferiti come BeachTennis e Padel. Negli ultimi anni la richiesta funzionale da parte di pazienti sempre più giovani è diventata sempre più esigente. Alfredo è un esempio chiaro di quanto la frustrazione dovuta alla sofferenza provocata dall’artrosi ha lasciato il posto ad una sensazione di liberazione dal dolore ed alla prospettiva di tornare al movimento.
Le interviste sono un preziosocontributo che i nostri pazienti mettono a disposizione del nostro pubblico perlopiù formato da altri pazienti che come loro sono in prospettiva di affrontare un intervento di protesi d’anca. La comunicazione tra paziente e paziente è senz’altro più efficace soprattutto in fase preliminare.
L’artroplastica totale d’anca è una delle procedure chirurgiche di maggior successo degli ultimi 30 anni, ma la questione circa l’influenza delle attività del paziente sulla sopravvivenza dell’impianto rimane molto dibattuta.
Con il crescente numero di protesi d’anca, specialmente in una popolazione sempre più giovane, i livelli di attività e le aspettative dei pazienti sono aumentati enormemente. Questo è particolarmente vero per quanto riguarda il ritorno allo sport.
Nuovi materiali e nuovi approcci chirurgici mini invasivi e protocolli di riabilitazione più efficaci offrono alla medicina sportiva e ai pazienti un futuro più attivo e luminoso. L’intervento di protesi d’anca non deve pregiudicare la pratica di attività sportive, al contrario, tornare in movimento ripristina il corretto funzionamento dei motori muscolari da tempo meno tonici a causa del dolore.
I pazienti ci chiedono spesso quale sia lo sport più indicato a chi ha una protesi d’anca o se possano o meno riprendere una particolare disciplina. Come speso accade è lo stesso paziente che si da una risposta durante la sua guarigione. Nessuno meglio di lui ha la percezione di quali risultati possa ottenere una volta rimessosi “in moto”.
La stessa Hip Society ha prodotto una lista di sport per cosi dire “consentiti” come cyclette, ballo da sala, equitazione, nuoto, tennis doppio, camminata, aerobica e corsa leggera, bicicletta e canottaggio. Ma la lista potrebbe allungarsi ancora con discipline sportive emergenti e di cui solo i pazienti delle ultime generazioni ci porteranno a conoscenza. La discussione resta aperta su sport come sollevamento pesi, sci da discesa, corsa veloce, jazz dancing, pattinaggio sia su ghiaccio che su ruote.
Nel 2018più di 50.000 personehanno visitatoprotesidanca.net per informarsi o richiedere approfondimenti sull’accesso mininvasivo anteriore all’anca, testimoniando quanto sia crescente l’interesse per questo tipo di chirurgia fino a poco tempo fa appannaggio di pochi centri d’eccellenza nel mondo.
Come abbiamo potuto constatare in tuti questi anni, molti dei nostri pazienti hanno ricominciato a fare sport con dei risultati spesso sorprendenti (Cinzia qui sul sito ne è una testimonianza evidente), ma questo resta quindi un argomento molto soggettivo.
L’esperienza del Dr. Cammarano e del Dr. De Peppo (partita nel 2003 al CTO di Roma, 1° centro d’eccellenza in Italia) rappresenta oggi il traguardo che premia chi sin dalle origini ha creduto che le nuove frontiere della protesica dell’anca dovessero innanzi tutto aiutare a ridurre al minimo i danni ai tessuti molli.
Cinzia ci racconta come procedono i suoi allenamenti a 13 mesi dall’intervento di protesi d’anca con tecnica mini invasiva anteriore. Per lei dopo 6 anni di assoluto stop dalle corse, è ricominciata una nuova vita sportiva. Riassaporare il benessere e le sensazioni che lo sport regala è di per se una grande soddisfazione, ma lo è soprattutto quando si pensava di non poter più tornare a provare certe emozioni.
Il Dott. Cammarano e il Dott. De Peppo illustrano i vantaggi della tecnica della via d’accesso anteriore Mini invasiva
L’evoluzione delle tecniche chirurgiche sempre più accurate e sicure rispetto al passato, ed i progressi nella tecnologia con cui vengono realizzate le protesi ortopediche, sempre più biocompatibili e resistenti all’usura, rendono l’artroprotesi totale d’anca uno degli interventi di maggior successo nella chirurgia ortopedica. La ormai collaudata via d’accesso anteriore mini invasiva è in grado di assicurare risultati funzionali eccellenti ad un sempre maggior numero di pazienti. Intervengono sull’argomento il Dottor Germano Cammarano, direttore della U.O.C. di Ortopedia Generale del CTO di Roma, ed il Dottor Marco De Peppo, dove questa via d’accesso viene utilizzata routinariamente da 15 anni con ottimi risultati clinici.
Dottor Cammarano, quali sono le particolarità che rendono la via d’accesso anteriore mini invasiva particolarmente idonea all’impianto di una protesi d’anca?
“La via d’accesso anteriore è una via ben conosciuta sia pure come accesso esteso. La novità della via mini invasiva è quella di utilizzare soltanto un segmento di questa grande via chirurgica caratterizzato da un intervallo anatomico sia inter-nervoso che inter-muscolare. Per tale peculiarità, questa via di accesso, non prevedendo né distacchi né sezioni muscolari, garantisce da subito una ottimale stabilità dinamica dell’anca e permette una sensibile riduzione delle perdite ematiche peri-operatorie, con minore ricorso alle trasfusioni. Consente inoltre di operare con il paziente in posizione supina, considerata la posizione ideale per l’assistenza anestesiologica, per il corretto posizionamento dell’impianto con un accurato controllo intra-operatorio della dismetria”.
Dottor De Peppo, la chirurgia protesica dell’anca con accesso mini invasivo anteriore a quali pazienti offre i maggiori vantaggi?
“Questa tecnica offre grandi vantaggi a tutti i pazienti. Noi la utilizziamo sia nel trattamento della coxartrosi che delle fratture del collo e della testa del femore, fornendo ai nostri pazienti la migliore esperienza associata al miglior risultato clinico, sia in termini di miglioramento della qualità della vita e di realizzazione di impianti sempre più stabili e meglio integrati con l’osso e quindi più duraturi nel tempo. Grazie al rispetto delle strutture nervose e muscolari il paziente è in grado di iniziare precocemente il percorso rieducativo Fast-Track, iniziando a camminare il primo giorno post operatorio ed a fare le scale il secondo giorno, permettendo un rapido ritorno alle normali attività quotidiane, anche sportive, obiettivo molto richiesto da pazienti sempre più giovani, esigenti e desiderosi di riprendere il prima possibile il proprio stile di vita”.
Marie Terese Mukamitsindo fuggì dal Ruanda con i figli 22 anni fa, per finire in un container al freddo alle porte di Roma. Gestisce una cooperativa che ospita oltre 800 migranti. “La gente è impaurita, impoverita, è diventata ostile. Un tempo era più accogliente. Quando mi è arrivato il foglio di via, tra chi mi conosceva partì una raccolta firme per farmi avere i documenti”
ROMA – Marie Terese è partita senza valige, senza risparmi, con solo i figli piccoli in braccio. È fuggita dal Ruanda, ha attraversato un intero continente, ha dormito per mesi in un container ghiacciato alle porte di Roma, ha avuto il foglio di via, per due anni è stata “invisibile” e senza documenti. Ma non si è arresa. Oggi Marie Terese dà lavoro a 159 persone, tra assistenti sociali, psicologi, mediatori culturali, di cui ben 147 italiani, accoglie nei suoi centri 800 richiedenti asilo e ha vinto il MoneyGram Award come imprenditrice immigrata dell’anno.
La storia di Marie Terese Mukamitsindo comincia nel 1996 quando atterra a Fiumicino con tre figli di 5, 8 e 17 anni. La famiglia si è lasciata alle spalle la guerra civile in Ruanda, è arrivata in Tanzania e da lì è volata in Italia. I primi tempi sono difficili: Marie Terese e i sui figli finiscono in un centro d’accoglienza improvvisato vicino a Fregene: “Dormivamo in un container freddissimo, poggiato a terra. Le docce erano distanti dieci minuti a piedi e l’acqua sempre ghiacciata. Dopo qualche mese mi ragiunse anche il mio quarto figlio”. La donna non ha il permesso di soggiorno e riceve il foglio di via: deve lasciare l’Italia. Ma non mancano i ricordi positivi: “Oggi la gente è impaurita, impoverita, ostile ai migranti. Un tempo era più accogliente. Quando mi è arrivato quel foglio di via ero a Sezze, in provincia di Latina. Molti cittadini, che avevano imparato a conoscermi, proposero di fare una sottoscrizione e andare in questura per farmi avere i documenti”.
Finalmente nel 1998 Marie Terese ottiene l’asilo. Lavora coma badante, riesce a farsi riconoscere la laurea e si iscrive all’albo degli assistenti sociali. Nel 2001 realizza il suo primo progetto di accoglienza per donne sole con bambini. Poi nel 2004, con l’aiuto dell’Unhcr e della Comunità europea, apre a Sezze la cooperativa Karibu, con lo scopo di offrire ai richiedenti asilo accoglienza e opportunità di lavoro. L’anno dopo festeggia la cittadinanza italiana. “Oggi tutti i miei figli sono italiani e sarebbe giusto che chiunque nasca e cresca qui lo sia: per questo quella dello ius soli era una riforma necessaria”. Oggi la cooperativa di Marie Terese tra case per minori e centri Sprar ospita oltre 800 migranti, con laboratori di lingua, corsi di cucina e di cucito, “perché l’assistenzialismo senza educazione è inutile”.
Un privilegio aver avuto Marie Teresetra i nostri pazienti e aver potuto dare un nostro piccolo contributo pubblicando la sua intervista.
Sergio, dirigente della pubblica amministrazione e sportivo non agonista. A causa di una grave artrosi all’anca sinistra con necrosi della testa femorale evidenziatasi solo 12 mesi prima di questa intervista, ha visto ridursi drasticamente la prospettiva di tornare al piacere di muoversi liberamente. Oggi due mesi dopo l’intervento di protesi d’anca mini invasiva, ha ripreso a muoversi e a riassaporare la gioia di una vita piena.